Il mondiale disputato in Italia nel 1990 ha rappresentato un’importante vetrina per il Belpaese. Giocare in campi molto conosciuti e sentire il calore dei tifosi sono stati gli ingredienti giusti per un’ottima avventura per la nazionale azzurra, purtroppo conclusasi solo con un terzo posto. L’aspetto più triste della vicenda, però, non riguarda tanto la delusione calcistica, quanto i retroscena che si celano dietro una solo apparente organizzazione perfetta.
La preparazione al mondiale, le infrastrutture
Nel 1984 la FIFA ha scelto l’Italia per ospitare i mondiali del 1990, la quale, dal 1986, aveva iniziato una preparazione all’evento basata sull’ammodernamento delle strutture preesistenti e sulla costruzione di nuove, sia per accogliere gli atleti nelle sedute di allenamento che per disputare le partite. La progettazione e la costruzione delle infrastrutture, avviata dal presidente del CONI, Franco Carraro, aveva un obiettivo: mostrare l’Italia, a livello internazionale, come uno Stato tecnologicamente ed industrialmente sviluppato pronto per accogliere il nuovo millennio. Tale desiderio mal si conciliava con la realtà effettiva del 1986, caratterizzata da stadi e costruzioni fatiscenti, che rendevano necessaria se non urgente una ristrutturazione adeguata: in particolare sono stati costruiti ex novo gli stadi “Delle Alpi” di Torino e il “San Nicola” di Bari (sede della finalina per il terzo e il quarto posto).
Il “Delle Alpi”, costato 226 miliardi di lire, sede di cinque partite, ha avuto vita breve, infatti la struttura sarà chiusa nel 2006 e demolita nel 2009. La costruzione, con un rialzo di spesa del 214%, non era all’altezza degli standard, con una distanza eccessiva tra il pubblico ed il campo da gioco, un sistema di irrigazione responsabile di costanti allagamenti ed un costo di manutenzione troppo elevato. In seguito è stato sostituito dallo stadio della Juventus, con i suoi 41mila posti e gestito in toto dalla società bianconera.
Il “San Nicola” era stato individuato dal suo stesso architetto, Renzo Piano, come una struttura avveniristica per la sua forma ad astronave. La complicata manutenzione e la copertura in Teflon, causa di numerosi problemi per la scarsa resistenza agli agenti atmosferici, tuttavia, hanno reso impossibile da mantenerlo in funzione.
Spese di “contorno”
Il grande dispendio economico non ha interessato solo gli stadi ma anche opere pubbliche di vario tipo. Degli esempi sono la stazione ferroviaria romana di Farneto, costata 15 miliardi di lire, costruita in via Monti della Farnesina e demolita lo stesso ottobre del 1990 (con un record negativo di funzionamento per soli 20 giorni), i maxi parcheggi di Palermo realizzati a mondiale concluso e l’hotel di Ponte Lambro, a Milano, costato 10 miliardi di lire e demolito nel 2002.
Tra gli sprechi si registrano anche l’Air Terminal Ostiense di Roma, che doveva rappresentare il miglior collegamento dalla città all’aeroporto di Fiumicino, abolito nel 2003 per la scomodità nel raggiungerlo dalla stazione Termini. Questo sarà riutilizzato da Oscar Farinetti con l’edificazione di “Eataly”. Inoltre, vanno ricordati i tre ponti a Fuorigrotta (Napoli), demoliti nel 2012, i cui costi sono stati ammortizzati dal recupero del ferro. La maggior parte delle opere sono state inaugurate dopo i mondiali e solo 95 dei 233 progetti iniziati sono stati completati. Una delusione tale che l’allora presidente della UEFA, Michel Platini, durante una contestazione nei confronti dei ritardi brasiliani per ospitare la competizione sportiva del 2014, ha preso come esempio negativo il mondiale di Italia ’90.
Debiti accumulati e soldi bruciati in appalti truccati
Per sostenere certe spese folli, per progetti quasi sempre finiti male, lo Stato italiano si è ritrovato costretto ad accendere mutui, tramite la legge 65 del 1987, che ha continuato a pagare nel ventennio successivo. Il conto di 61 milioni e 200mila euro è stato estinto solo nel 2013, più di vent’anni dopo.
L’Italia ha registrato una perdita pari a 1.248 miliardi di lire solo per l’ammodernamento degli stadi, con un incremento dell’84%, stimato dall’allora ministro delle aree urbane Carmelo Conte, rispetto alla cifra preventivata. La vigilia della partita inaugurale è stata teatro di numerose polemiche, riguardanti anche appalti truccati, in effetti da quello che emergerà quasi nove appalti su dieci erano senza controllo.
Il conto che l’Italia ha ricevuto
Il costo complessivo è stato di 7.230 miliardi di lire, delle quali oltre 6.000 provenienti dalle casse dello Stato, corrispondenti a circa 3,74 miliardi di euro, portando la competizione ad essere tra le più dispendiose di sempre, superando le cifre del mondiale in Sudafrica, in Corea-Giappone e persino quello negli Stati Uniti del 1994.
La vicenda di Italia ’90 si aggrava se si considera che si sono calcolate 12 vittime nei cantieri degli stadi e 12 nei lavori esterni, con un totale di infortuni sul lavoro pari a 678. Tra questi, quello più emblematico è stata la morte di cinque operai a causa del crollo di una tettoia nello stadio palermitano della Favorita (l’attuale Barbera).
Il grande spreco di soldi pubblici ha portato a due proposte per l’apertura di un’ inchiesta parlamentare su volontà del deputato Raffaele Costa, nel maggio 1992, ed in seguito del senatore Athos de Luca nel maggio 1999, senza condurre ad alcun esito.